Da L’istante zero
“Ho iniziato a comporre musica strumentale quando ero a scuola ed ho poi continuato quando potevo, con un’attività un po’ saltuaria, poiché quella violoncellistica prevaleva. Già nel 1942 ero al Conservatorio anche come insegnante e contemporaneamente al Teatro Comunale, facevo anche dei concerti da solista, insomma dovevo studiare; quindi non avevo molto tempo. Ogni tanto però riuscivo a darmi da fare e portavo avanti qualche pezzo che avevo iniziato a scuola. Difatti se si guardano i primi lavori prevale lo stile contrappuntistico; come sostiene Albert Mayr, facevo musica neoclassica con qualche elemento espressionista.
Nel periodo in cui lavoravo saltuariamente, ho scritto la Sinfonia per orchestra che fu diretta da Giulini; l’orchestra era della radio. Dopo un po’ di tempo scrissi anche un Concerto per orchestra e anche quello venne eseguito alla radio: lo diresse Nino Sanzogno, un allievo di Gian Francesco Malipiero, veneziano, quasi coetaneo di Nono. La differenza con la Sinfonia era la struttura in tre tempi anziché in quattro.
In quell’occasione Sanzogno mi disse: ‘Queste sonorità che tu crei sono in qualche modo vicine alle nuove sonorità che si sentono oggi qua e là. Sono stato a Colonia e sono andato allo studio della WDR dove creano dei suoni nuovi con strumenti elettronici e tu mi sembri molto vicino a questo modo di operare, insomma realizzi questi timbri con strumenti tradizionali. Perché non ti interessi un po’ di questi nuovi strumenti elettronici e non vai a Milano? A Milano ci sono Berio e Maderna’.
Era la seconda metà degli anni Cinquanta. Dissi: ‘Perché no?’; e andai a vedere.
Nel frattempo avevo ripreso a scrivere. Proprio quando ero negli Stati Uniti con l’orchestra mi venne in mente di buttare giù qualcosa e scrissi un Quartetto per archi, dodecafonico. Era basato su un’unica serie con la quale ho organizzato e sviluppato tutto il lavoro. Ebbe una discreta fortuna, fu eseguito molte volte da un quartetto della RAI di Roma e fu in procinto anche di vincere un premio dato che lo avevo presentato a un concorso annuale della SIMC; arrivò secondo o terzo, non mi ricordo, insomma fu abbastanza apprezzato. Cominciai così.
Dopo un periodo relativamente lungo di inattività mi era ripreso il desiderio di scrivere ma avevo dei problemi di ordine formale. Mi stavo domandando cosa volevo io dai suoni, come li volevo vedere organizzati.
È così che sono capitato nel mondo della ‘combinatoria’, grazie a un libro che mi aveva regalato Italo Gomez, un libro di Shillinger [Shillinger J., The Mathematical Basis of the Arts, New York, Philosophical Library, 1948] che parlava delle relazioni tra l’arte e la matematica.
Lì trovai tutta una serie di delucidazioni sul calcolo combinatorio che era analizzato e proposto per fini artistici. E questo mi interessò tanto che volli anch’io organizzare i suoni in questo modo. E cominciai a farlo.
Dopo il Quartetto scrissi Cinque pezzi per archi che furono eseguiti alla RAI e anche a Firenze da Bruno Bartoletti. In alcuni di questi pezzi per archi applicai il calcolo combinatorio per costruire l’insieme delle strutture. È difficile sapere il perché di questa scelta: è una scelta abbastanza banale sotto molti aspetti, ma io l’ho voluta fare. Dopo i pezzi per archi mi venne in mente di scrivere una serie di pezzi per piccoli complessi.
‘La Composizione n. 3 [la numerazione inizia con il tre considerando le prime due il Quartetto dodecafonico e i Cinque pezzi per archi] è il primo di questi lavori: può essere adattato a diversi gruppi strumentali, purché lavorino nella zona media della gamma udibile, e lì ho applicato a fondo il calcolo combinatorio. Il pezzo era sempre diviso in tre tempi, anche se la suddivisione in tempi diversi poco alla volta verrà ridotta e poi eliminata nei lavori successivi; comunque per costruire questi tre tempi ho adoperato varie serie in vario modo.
Poi venne la Composizione n. 4, che aveva un organico di sedici strumenti, mi pare in quattro movimenti, la n. 5 sempre in quattro movimenti, per tre contrabbassi oppure tre fagotti.
Poi la n. 6, in un movimento unico, ed è l’ultima con le dinamiche; fra le tante esclusioni che feci venne anche il momento in cui mi annoiai delle escursioni dinamiche; in tutto questo qualcuno riscontrò una certa propensione al misticismo…Sarà vero? Non importa. Sentii il bisogno di dire che tutto venisse suonato piano. E appunto la Composizione n. 6 è l’ultima che ha una dinamica articolata ed è nata senza l’utilizzo del calcolo combinatorio. Si tratta di un quartetto d’archi, in un movimento unico, dove gli strumenti estremi si muovono per toni, gli strumenti intermedi per semitoni, e tutti procedono ad un progressivo allargamento dell’ambito frequenziale. La dinamica va dal pianissimo al fortissimo, poi torna al piano; c’è qualche variazione sia nella struttura che nell’articolazione dei vari strumenti. Erano situazioni sonore che mi interessavano.
Nel frattempo scrissi anche Tre studi per violoncello solo che esplorano alcune modalità esecutive di questo strumento come l’uso delle corde a vuoto, oppure l’agilità e i bicordi intonati.
Vennero poi la Composizione n. 7 e la n. 8. Una è per tromboni ed archi. Utilizzai i tromboni perché possono fare i glissandi come gli archi; infatti è un pezzo costruito tutto con glissandi. L’altra invece è per coro e due clavicembali. Il coro è formato da sedici voci: faccio eseguire i dodici suoni dai vari gruppi, dal basso al soprano, e adopero sedici voci perché gli esecutori si possano alternare. I suoni sono dodici, sempre fermi, un muro di suono. I clavicembali invece eseguono strutture controllate dal calcolo combinatorio. A partire da questi tre pezzi ridussi anche la struttura ad un solo movimento.
La Composizione n. 9 (per coro, archi, clavicembalo e ottoni) è rimasta incompiuta perché avevo delle ambizioni troppo vaste, comunque ne è rimasta una bozza. La n. 10 è per un gruppo di otto strumenti; la n. 11 è per clavicembalo e voce, o almeno dovrebbe esserlo, ma è sempre stata eseguita con uno strumento, perché per la voce è assai difficile intonare. Si tratta di cantare suoni singoli a molta distanza di tempo uno dall’altro su una base strumentale che disorienta (forse l’esecuzione sarebbe possibile se il cantante eseguisse interiormente i suoni destinati al clavicembalo). È stata eseguita più che altro con il violoncello. La soddisfazione esecutiva però è magra, si tratta di un pezzo concettuale. Nei primi tempi l’ha eseguita qualche volta Gomez, anche all’estero, in Colombia e in Olanda. È un pezzo estremamente rarefatto al quale ho aggiunto come sottotitolo Sessanta canti: sono permutazioni di cinque elementi che io chiamo canti. Le permutazioni di cinque elementi sono centoventi, ne ho usate sessanta per gli intervalli e sessanta per le durate. Questo è uno dei pezzi più puri dal punto di vista del mio utilizzo del calcolo combinatorio. C’è soltanto un ‘inquinamento’ creato da alcuni clusters, una mia debolezza.
Infine la Composizione n. 12, per quartetto d’archi, che è addirittura più radicale e ineseguibile della precedente. Ogni strumento deve lavorare nell’ambito di una terza maggiore; al suo interno si sviluppa una serie di combinazioni sia ritmiche che di altro genere, piccoli glissandi per esempio, che si muovono come se stessero all’interno di un guscio. In ogni caso anche qui non si esce dal modello del calcolo combinatorio. La Composizione n.12 è stato il mio ultimo lavoro strumentale anche se, devo dire, in seguito ho ripreso molti dei concetti applicati qui per le esperienze elettroniche e con i calcolatori.”
- Preludio e Fuga (1942)
- Fuga per orchestra
- Piccola fuga per quindici strumenti (1942)
- Frammenti di Saffo, per voce e strumenti
- Il ritorno di Ulisse – I Atto
- La morte di Ermengarda, versione per canto e pianoforte (1945)
- La morte di Ermengarda, versione per pianoforte (1945)
- La morte di Ermengarda, cori della scena drammatica (1945)
- Tre sonetti del Petrarca, per voce e piccoli complessi strumentali
- Lirica di F. Petrarca Nova Angeletta
- Adagio, per violoncello e pianoforte (1946)
- Sinfonia, in quattro tempi (1946)
- Largo, per archi, ottoni e timpani (1947)
- Quattro momenti musicali, per orchestra (anni ‘50)
- Concerto, per orchestra (1953)
- Quartetto, per archi (1957)
- Cinque pezzi, per archi (1958)
- Due composizioni per gruppi strumentali (1958)
- Concerto, per pianoforte e orchestra
- Composizione n. 3, adattata a diversi gruppi strumentali (1959)
- Composizione n. 4, per quattro gruppi di quattro strumenti (1959)
- Composizione n. 5, per tre fagotti o tre contrabbassi (1959)
- Composizione n. 6, per quartetto d’archi (1960) – prima versione
- Composizione n. 6, per quartetto d’archi (1960) – seconda versione
- Tre pezzi, per violoncello solo (1960)
- Composizione n. 7, per archi e tre tromboni (1960)
- Composizione n. 8, per coro misto e due clavicembali (1960)
- Composizione n. 9, per voci, ottoni, due clavicembali e archi (incompiuta) (1960)
- Composizione n. 10, per otto strumenti (1960)
- Composizione n. 11, per voce e clavicembalo (1960)
- Composizione n. 12, per quartetto d’archi (1960)